INTERVISTA A MARIO MAURO/ “Scuola, ora battiamo lo #statalismo”
LA CROCE – Mario Mauro intervistato da Mirko De Carli per il quotidiano La Croce – In questi giorni va in votazione al Parlamento la riforma dell’istruzione battezzata da Renzi come ‘La buona scuola’. Ne parliamo col Sen. Mario Mauro, Presidente dei Popolari per l’Italia, il quale analizza la situazione scolastica italiana alla luce dei benefici generati dal sistema delle scuole private..
Mario Mauro, in queste settimane si parla della riforma sulla scuola di Renzi. Lei più volte ha detto che il tema dell’educazione è centrale nella vitalità di un paese: crede che questa sia ‘la volta buona’?
In realtà l’italia è il paese che ha dato più attenzione alla riforma dell’istruzione: infatti di riforme della scuola se ne contano diverse, addirittura quattro se contiamo quelle Berlinguer, Moratti, Gelmini e Fioroni. Ora, conoscendo lo stato reale delle nostre scuole e la situazione dell’offerta educativa in Italia, mi sembra chiaro che questi tentativi di riforma sono stati appena un tentativo di razionalizzazione che aveva due grandi problemi: far risalire la china dei risultati dei nostri ragazzi su scala internazionale e contenere la spesa pubblica. Compito quasi impossibile in un comparto di welfare dove si computa una spesa fissa pari al 98,5% del bilancio globale dedicata esclusivamente agli stipendi. E allora che cosa fare? Credo che nel meccanismo messo in piedi dal governo e che va al vaglio del parlamento ci siano degli spunti interessanti: sicuramente per la prima volta dal punto di vista della libertà educativa si capisce che non è giusto che una famiglia paghi due volte per l’educazione dei propri figli, la prima volta attraverso una fiscalità generale e la seconda attraverso una retta. C’è un sostanziale passo avanti in questo senso anche se le cifre stanziate sono pressoché simboliche. Accanto a questo c’è l’enorme problema del precariato: bisogna ricordare che il
Precariato di stato, inventato molti anni addietro per consentire allo stato di fare risparmi sul tetto di spesa concernente gli stipendi annuali, è una pratica portata avanti da decenni e che viene percepita come una forte ingiustizia da parte di chi l’ha vissuta. Il governo italiano purtroppo è preso in mezzo a due grandi crisi: eccesso di statalismo nella sistema scolastico del paese e povertà di risorse. Molto di quello che c’è nel provvedimento del governo, la cosiddetta ‘buona scuola’, cerca di ovviare a queste criticità.
Più volte in Italia il dibattito sulla scuola è stato animato da uno scontro tra private e pubbliche. Lei ha più volte sostenuto che la differenza è tra privato e statale, perché il termine pubblico si riferisce alla finalità del servizio pubblico. Puoi spiegarci meglio questo passaggio?
Pubblico opposto a privato: chi si ferma qui è ideologico. E ce ne sono tanti, anche negli ambienti intellettuali, a pensarla così. Occorre battersi contro lo statalismo, che uccide la dialettica tra le diversità che, invece, è un fattore di crescita e di arricchimento per tutti. La scuola deve diventare attraente, un posto in cui uno studente possa vivere, non solo imparare. Per questo sia la scuola privata che quella statale devono lavorare insieme per raggiungere questi obiettivi: finalità che possiamo definire, nel suo complesso, pubbliche. Porto un esempio.
Tutto quello che non è scuola materna non statale in Italia si riduce in cifre infinitesimali. Ora, in altri paesi europei come ad esempio la Francia campione di laicità, la Gran Bretagna che non fa difetto di una visione multiculturale o la Germania, la quota del privato (ovvero ‘non statale’) non scende mai sotto il 25/30%. Questo si traduce in un enorme beneficio per la scuola dello stato perché, essendo il 25/30% degli studenti assorbito dalle scuole non statali, è possibile liberare delle risorse che non siano spese per stipendi per le scuole dello stato. Ci sarebbero più risorse per gli immobili, per la manutenzione, per le tecnologie, per la banda larga, per i progetti particolari di carattere formativo e per la valorizzazione degli insegnanti più bravi. Questo vuol dire che per molti versi è vero che ‘più società fa bene allo stato’, cioè che un sistema meglio integrato dove ci siano un effettivo riconoscimento di ciò che le scuole non statali fanno e’ il sistema che più di tutti aiuta l’intera vita della scuola italiana. Mi preme sottolineare che uno studente costa allo stato mediamente settemila o ottomila euro l’anno mentre nella scuola non statale circa la metà: sono evidenti quindi i benefici in tal senso che comporterebbe una migliore redistribuzione. Concludo con una considerazione legata ai percorsi di integrazione: attenzione perché, come tutti sappiamo, nelle grandi città su venti alunni ci sono 12 o 13 di nazionalità diversa e se non stiamo attenti a dare chance alle scuole non statali le scuole non statali stesse rischiano di diventare le scuole degli italiani. Questo produrrebbe un’ulteriore iniquità all’interno del sistema educativo nazionale.
Lei è molto legato all’esperienza di Comunione e Liberazione. Che cosa può insegnare l’impegno di questo movimento sul tema della libertà di educazione?
Comunione e Liberazione da sempre si è impegnata attivamente sul tema della libertà di educazione; ricordiamo la frase che più volte Don Giussani ha ripetuto: ‘mandateci in giro nudi ma lasciateci liberi di educare’. In questa prospettiva fede e ragione sono sostanzialmente indissolubili: l’una e’ una finestra spalancata sulla complessità del reale e con l’aiuto dell’altra consente di mettere a fuoco i tentativi di risposta alle sfide dell’umano.
Una domanda più personale: che insegnamento porterà sempre con se’ dal rapporto con don Giussani, soprattutto a dieci anni dalla sua morte?
Per me l’incontro con il movimento di Comunione e Liberazione prima e con don Giussani dopo è l’accendersi in me e il mettersi in gioco con tutto ciò che è l’umano e per tutto ciò che avviene adesso. Non ho tanto il problema di ricordare quello che Don Giussani mi ha spiegato e chiarito sui banchi dell’Università, quanto piuttosto di paragonare tutto quello che io vivo con quanto, non solo lui ma certo anche tutta la saggezza della tradizione della Chiesa e non solo, e mi riferisco ad altre fonti, sostengono. La questione di fondo è infatti poter vivere in modo più vero e quindi facendo spazio al Mistero anche le circostanze più difficili.