Diritto di voto: ne risponde lo Stato se non garantisce le preferenze. Contributo di Antonfrancesco Venturini
FUTURO EUROPA – Tutti noi sappiamo che la Corte Costituzionale, con la notissima sentenza n.1 del 2014, ha dichiarato incostituzionale il così detto Porcellum nella parte in cui veniva previsto il premio di maggioranza e nella parte in cui non si consentiva all’elettore di esprimere la preferenza.
Detta sentenza, ovviamente, è scaturita da un’eccezione di costituzionalità proposta in un giudizio, ma che fine ha fatto detto giudizio? Ben pochi lo sanno.
Nel 2009 alcuni cittadini, ritenendo giustamente leso il proprio diritto di voto in modalità conformi alla Costituzione (dato il premio di maggioranza e le liste bloccate senza preferenze), chiedevano l’accertamento della detta lesione sollevando eccezione di incostituzionalità della legge elettorale.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano la domanda ritenendo manifestamente infondate le dette eccezioni di illegittimità costituzionale.
La Cassazione, al contrario, con ordinanza del 17 maggio 2013, “sul presupposto che il giudizio principale doveva essere definito con una sentenza che accertasse la portata del diritto di voto e lo ripristinasse nella pienezza della sua espansione, per il necessario tramite dell’intervento della Corte Costituzionale”, rimetteva il tutto al Giudice delle leggi.
La Corte pronunciava la incostituzionalità del Porcellum, ripristinando per il futuro la correttezza del sistema di voto, ma per il passato? Abbiamo scherzato?
Ovviamente, per dare continuità alla legislatura, per evidenti ragioni di opportunità e stante il principio del “fatto concluso”, non potevano essere dichiarati decaduti tutti i deputati e tutti i senatori, per cui corretta è l’interpretazione della Corte secondo cui “l’annullamento delle norme censurate non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate”, ma comunque una lesione dei diritti di tutti i cittadini vi è stata ed appare paradossale che non vi sia alcuna conseguenza per il passato.
Ma ritorniamo alla storia processuale.
Dopo la pronuncia costituzionale naturalmente, come avviene sempre, il processo è continuato davanti alla Cassazione, la quale ha emesso una sentenza, che potremmo definire storica, la n.8878 del 16/4/2014, la quale, incomprensibilmente, non è stata per nulla, o, comunque, pochissimo oggetto di attenzione da parte dei media.
Ma con questo articolo cerchiamo di evidenziarla.
La Cassazione, con detta sentenza passata ovviamente in giudicato, ha deciso la causa nel merito con il seguente dispositivo: “dichiara che i ricorrenti non hanno potuto esercitare il diritto di voto nelle elezioni per la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, svoltesi successivamente all’entrata in vigore della L. n.270 del 2005, e sino alla data di pubblicazione della sentenza delle Corte Costituzionale n.1 del 2014, secondo le modalità, previste dalla Costituzione, del voto personale, libero e diretto e condanna le Amministrazioni intimate alle spese del presente giudizio in favore dei ricorrenti”.
Nella motivazione, poi, si trovano dei passi importanti, infatti si rileva che “ la Corte Costituzionale ha ripristinato per il futuro la legalità costituzionale e la possibilità dei cittadini elettori di esercitare il diritto di voto personale, libero e diretto, ma non ha potuto accertare quali effetti abbiano avuto le disposizioni incostituzionali della L. n.270 del 2005, sul diritto di voto dei cittadini elettori nel periodo della loro vigenza, compito questo che spetta al giudice ordinario”.
Inoltre i Giudici evidenziano che “l’accoglimento delle proposte questioni di legittimità costituzionale non ha esaurito la tutela invocata dai ricorrenti nel giudizio principale, che si può realizzare solo a seguito e in virtù della pronuncia con la quale il giudice ordinario accerta le conseguenze della pronuncia costituzionale e, in particolare, se vi sia stata una lesione giuridicamente rilevante del diritto di voto … ed in effetti la dedotta lesione v’è stata per il periodo di vigenza delle disposizioni incostituzionali”.
In conseguenza di detti ragionamenti è stata accolta la domanda di accertamento della lesione del diritto al voto in capo ai cittadini ricorrenti, con pesante condanna alle spese legali a carico dello Stato.
Riassumendo, la Suprema Corte ha ritenuto sussistere un comportamento illecito dello Stato (emanazione di una legge elettorale incostituzionale) che ha generato una lesione di un diritto soggettivo costituzionalmente garantito del cittadino (il corretto esercizio del diritto di voto), ha accertato la sussistenza di detto comportamento ed ha condannato lo Stato alle spese di lite.
Ora viene da chiederci, se è sussistito un comportamento da parte dello Stato che ha leso un diritto soggettivo specifico dei cittadini, è tenuto lo Stato a risarcire il conseguente danno? Per semplificare, può ogni cittadino chiedere di essere risarcito, sia pur con una somma simbolica, per non aver potuto dare la preferenza? E’ giusto che chi ha sbagliato non paghi nulla?
Rispondere a questa domanda comporta toccare delicatissimi temi, ma tentiamo una ricostruzione attendibile, sia pur nella brevità di questo spazio.
Nel nostro ordinamento esiste l’art. 28 della Costituzione che dispone la responsabilità civile, e non solo, dei funzionari e dei dipendenti dello Stato per gli atti compiuti in violazione di diritti, estendendo detta responsabilità allo Stato stesso, così come esiste l’art. 2043 del Codice Civile che stabilisce che qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto al risarcimento.
Svariati, poi, sono gli esempi di responsabilità dello Stato per i danni causati ai cittadini, quali, ad esempio, quelli per il mancato adeguamento della normativa interna alle disposizioni degli organismi comunitari, per l’ingiusta detenzione, per l’ingiustificata durata del processo e così via.
Pertanto, non peregrina appare la tesi che sostenga la fondatezza di una richiesta risarcitoria da parte di ogni cittadino nei confronti dello Stato per aver esso commesso l’atto, quanto meno colposo, di aver emanato una legge elettorale che ha violato il diritto costituzionalmente garantito ad un voto giustamente eguale, libero e diretto, e ciò proprio in applicazione dei principi generali, dell’art. 28 Cost., dell’art. 2043 del Codice Civile.
Di fronte a tale possibilità, alla quale la sentenza della Cassazione, sopra evidenziata, pare aver spianato la strada, non stupirebbe il proliferarsi di numerose azioni risarcitorie collettive (non sotto la forma tecnica di class action, strumento che non sembra utilizzabile in questo caso), che quanto meno avrebbero la valenza di far più approfonditamente valutare al nostro legislatore le conseguenze di una legge elettorale incostituzionale e di far ragionare di più sulla coerenza con la Carta dell’ipotesi di Italicum alla quale sembra ci si stia avviando.