Gigli: l’Europa riconosce dignità al «fine vita»
Avvenire – lettera al Direttore – Caro direttore, la Guida sulle decisioni di fine vita, pubblicata una settimana fa dal Consiglio d’Europa, merita un supplemento di riflessione e non sarebbe saggio rigettarla affrettatamente perché non del tutto in sintonia con i nostri valori etici.
Certo, l’enfasi posta sull’autonomia del paziente potrebbe essere pericolosa, se il principio di autonomia venisse assolutizzato. Ma essa viene mitigata dal richiamo agli altri princìpi che debbono fare da supporto alle decisioni: beneficenza, non maleficenza (primum non nocere!) e non discriminazione. Peraltro, la stessa distinzione tra interventi proporzionati e non proporzionati può essere di aiuto nelle decisioni. La Guida affronta anche la controversa questione dell’idratazione e della nutrizione, riconoscendo significativamente per esse il ruolo di supporti esterni che «soddisfano esigenze fisiologiche». Dunque, «il cibo e le bevande sono elementi essenziali della cura al paziente che dovrebbero sempre essere assicurati, a meno che il paziente non li rifiuti».
Del resto, cosa si potrebbe fare di diverso in un paziente mentalmente competente? Nel caso dei pazienti che non sono in grado di assumere decisioni la Guida descrive bene la disputa in corso, senza assumere una posizione definitiva. Essa, tuttavia, pone significativi limiti all’uso (e all’abuso) delle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) per affrettare la morte di disabili incompetenti. Si consiglia, infatti, che esse siano prodotte in forma scritta e autenticate da un legale, che abbiano attinenza alla specifica situazione, che anzi, per garantire una maggiore comprensione e consapevolezza del paziente, siano state preferibilmente redatte quando il processo patologico si era già avviato. Si suggerisce inoltre il periodico rinnovo delle Dat, affinché esse presentino caratteristiche di attualità. In pratica si richiede che esse non siano state compilate quando il paziente poteva avere una percezione molto diversa di quella che sarebbe stata la sua condizione. Inoltre, pur prendendo atto della Raccomandazione 11/2009 del Comitato dei Ministri in cui si consente agli Stati membri di conferire maggiore a minore vincolatività alla Dat, la Guida riconosce che anche negli Stati in cui il valore delle Dat è più cogente non esiste per il medico un obbligo assoluto di rispettare pedissequamente le decisioni manifestate dal paziente, per esempio quando esse siano datate e quando il progresso delle conoscenze scientifiche o le mutate possibilità di cura possano avere un «impatto significativo sul loro contenuto» rispetto al momento in cui le Dat furono redatte.
Si conferma ed esplicita così quanto previsto dall’articolo 9 della Convenzione di Oviedo, secondo cui i desideri precedentemente espressi da parte di un paziente che non è in grado di esprimere la sua volontà «saranno tenuti in considerazione», senza per questo costituire un obbligo per il medico, quando contrastino con il suo giudizio clinico o con le sue convinzioni etiche. Che questa debba essere l’interpretazione sembra essere confermato dal fatto che nell’illustrare il principio di autonomia la Guida si richiama anche esplicitamente all’articolo 6 della Convenzione di Oviedo, secondo cui «un intervento non può essere effettuato su una persona che non ha capacità di dare consenso, se non per un diretto beneficio della stessa».
In sintesi, la Guida riconosce il ruolo professionale del medico, negando implicitamente la visione contrattualista che lo vorrebbe un mero esecutore dei voleri del “cliente” che sceglie di avvalersi delle sue prestazioni. Secondo la Commissione, infatti, «l’autonomia non implica il diritto del paziente di ricevere qualsiasi trattamento voglia, in particolare se si tratta di un trattamento considerato inappropriato», dovendosi piuttosto ricercare una «conciliazione tra la volontà del paziente e la valutazione della situazione da parte di un professionista». Tra medico e paziente si auspica dunque una relazione fondata sull’alleanza terapeutica: l’alleanza tra una fiducia e una coscienza. Affinché non si affermi in Europa una “bioetica della maggioranza” a fondamento della convivenza civile, è necessario ripartire dal minimo comune denominatore che ci unisce tutti attorno al valore dell’uomo e alla deontologia professionale. La Guida proposta dal Consiglio d’Europa può costituire anche in Italia un’utile base per una riflessione, soprattutto nel momento in cui i medici si accingono ad adottare, non senza divisioni, un nuovo codice deontologico.