MILANO/Emergenza giovani: una proposta su formazione e lavoro
Di seguito l’intervento del consigliere comunale Matteo Forte al convegno dello scorso sabato 21 Novembre, intitolato “Cantiere Milano 2016”, presso la Fondazione Ambrosianeum.
In un Paese in cui la disoccupazione giovanile supera il 40%, e si contano in milioni quelli che né studiano e né lavorano, si afferma in modo prepotente un’emergenza generazionale. Questo è vero anche in una realtà dinamica e produttiva come quella milanese, dove seppure non si conoscono le percentuali che invece caratterizzano il contesto nazionale, la guardia non si deve abbassare affatto. Dati Istat rielaborati dalla Camera di Commercio, infatti, stimano in 57.000 (il 10%) i giovani sotto i 30 anni in cerca di occupazione nella provincia di Milano, comprensiva per la verità anche di Monza e Brianza. Nel 2014 si stimano 99mila neet, pari al 17,6% della popolazione che rientra nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni [Fonte: Milano Produttiva Luglio 2015, Camera di Commercio di Milano]. A fronte di ciò stridono i dati sulle principali difficoltà segnalate dalle imprese nel reperire forza lavoro, individuate soprattutto nell’inadeguatezza dei giovani candidati, tanto a livello di preparazione quanto nella mancanza di una necessaria esperienza. Anche in un drammatico contesto di crisi economica come quello attuale, il rapporto 2014 Studio ergo Lavoro della McKinsey&Company evidenziava la difficoltà per le imprese di reperire candidati per il 16% delle posizioni ricercate, corrispondenti a circa 65 mila posti di lavoro. Tra le principali carenze individuate dalla ricerca della McKinsey l’esperienza pratica era quella maggiormente riscontrata dal 47% delle aziende.
In questo senso il tema dell’emergenza occupazionale giovanile, insieme ad un mercato che fino ad ora per chi si è affacciato per la prima volta al mondo del lavoro ha riservato un percorso frammentato, con conseguente abbassamento delle competenze e dei salari, deve spingere a riflettere sul contrasto alla nuova povertà caratterizzata per l’appunto dai cosiddetti working poor. Lo spunto per una riflessione lo offrono le parole scritte da Francesco nella sua enciclica sociale Laudato si’, in cui il papa spiega che «il lavoro dovrebbe essere l’ambito di questo multiforme sviluppo personale, dove si mettono in gioco molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione nel futuro, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la comunicazione con gli altri, un atteggiamento di adorazione». [LS, n. 127]. Per poi aggiungere: «il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale. In questo senso, aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro» [n. 128].
Garantire ai giovani l’occupabilità dovrebbe essere l’obiettivo di una politica volta ad affrontare di petto quell’emergenza generazionale, al di là degli interventi finalizzati ad aumentare di qualche centinaia di migliaia di unità i dati semestrali relativi ai nuovi posti di lavoro. Garantire percorsi e strumenti che rendano il giovane sempre più spendibile sul mercato, nell’ottica di uno sviluppo umano, professionale, delle proprie capacità e che apra a prospettive future di lunga durata: questa è la vera sfida. In un’area metropolitana come quella di Milano ci sono le competenze e le risorse, sia umane che economiche, per un progetto che promuova un’alleanza tra istituzioni, produttori e sistema formativo. Nella storia dell’amministrazione locale della città è possibile reperire un’esperienza a cui guardare, quella del Patto per il Lavoro del 2000, realizzato dalla giunta Albertini con le parti sociali e a cui diede un significativo contributo il prof. Marco Biagi. L’intesa realizzava una partnership pubblico-privato ed uno “sportello unico” specializzato nell’inserimento delle fasce di popolazione urbana fino ad allora fortemente marginalizzate (extracomunitari, giovani, 40enni che avevano interrotto il percorso lavorativo, ecc.). L’idea di fare tesoro di quella esperienza riproponendo una sorta di “patto” tra amministrazione comunale e produttori, attraverso il quale prevedere agevolazioni fiscali per chi crea nuovi posti di lavoro qualificando la propria manodopera, può essere ancora utile. Nel patto andrebbero assolutamente coinvolti operatori autorizzati per l’incontro tra la domanda e l’offerta e il sostegno alla transizione occupazionale, anche mediante interventi formativi e di riqualificazione professionale (grazie a 215 operatori accreditati da Regione Lombardia e 7 Centri di formazione professionale comunali). Il principio dovrà essere quello di una corresponsabilizzazione per cui si usa la leva fiscale locale in senso premiale (solo tra Imu, Tasi e Tari un capannone industriale, secondo Assolombarda, nel 2014 ha pagato nel capoluogo lombardo 61.565 euro di media). In particolare occorrerebbe favorire in una città dinamica come Milano il contratto d’apprendistato quale canale privilegiato per l’occupazione giovanile, o il contratto d’alto apprendistato visti gli eccellenti centri di ricerca e gli otto atenei presenti sul territorio comunale. Infine dalla collaborazione proprio con questi ultimi il Comune potrebbe recuperare quella funzione di servizio nei confronti delle imprese sgravandole dagli adempimenti burocratici e dalla redazione dei progetti formativi che quei tipi di contratti finalizzati anche all’ottenimento di titoli di studio comportano. Si tratterebbe di un capovolgimento di paradigma rispetto ad un’amministrazione che fino ad ora ha preteso creare lei posti di lavoro elargendo mance solo per trasformare contratti di lavoro precari in altri più stabili (per lo scopo in tre anni sono stati messi a bilancio 3 milioni).
Insomma, con questo nuovo “patto” si potrebbe rispondere a due esigenze differenti: quella delle imprese di trovare una manodopera sempre più specializzata e preparata alle mansioni richieste; quella dei giovani di avere strumenti a garanzia della loro occupabilità, così da potersi spendere nel mercato del lavoro ed evitare le nuove forme di povertà ed esclusione sociale che invece sembrano sempre più caratterizzare i “nuovi” lavoratori.