Si può produrre Pil migliorando la vita delle persone?
www.futuro-europa.it – ‘Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?’ si domandava Adriano Olivetti. Una domanda che l’imprenditore visionario di Ivrea si pone durante la stesura del suo discorso di inaugurazione dello stabilimento della Olivetti ad Ivrea il 23 aprile 1955: un interrogativo attualissimo, visto il clima di esasperato consumismo che viviamo in Occidente, sul quale occorre riflettere per gettare le fondamenta nell’economia del nuovo millennio.
In questi anni siamo ancora in un’epoca di passaggio tra l’economia generata dalla seconda rivoluzione industriale e l’economia che sorgerà dopo i mutamenti sociali emersi durante gli anni di crisi e di recessione. Occorre quindi che la costruzione di un periodo di benessere e di sviluppo avvenga mettendo al centro la persona con i suoi bisogni e non solo gli indici del prodotto interno lordo. Questo sta a significare che anche l’impresa può darsi dei fini, come lo Stato ha nella sua natura (deviata dalla corruzione dell’uomo) il perseguimento del bene comune e la famiglia la prosecuzione della storia di una comunità grazie allo straordinario avvenimento della procreazione. ‘Perché lavorando ogni giorno tra le pareti della fabbrica e le macchine e i banchi e gli altri uomini per produrre qualcosa che vediamo correre nelle vie del mondo e ritornare a noi in salari poi pane, vino e casa, partecipiamo ogni giorno alla vita pulsante della fabbrica, alle sue cose più piccole e alle sue cose più grandi, finiamo per amarla, per affezionarci ad essa diventa veramente nostra, il lavoro diventa a poco a poco parte della nostra anima, diventa quindi un’immensa forza spirituale’.
Lavoro come forza spirituale? Ebbene si, Adriano Olivetti c’entra perfettamente il punto di un’azienda veramente a misura d’uomo: solo superando il sistema arido delle multinazionali e ricreando il clima di compartecipazione al destino dell’azienda da parte dei lavoratori, potremo davvero ricreare le condizioni perché miracoli economici come la Olivetti ad Ivrea o la Merloni a Fabriano si ripetano. Come? Piccolo azionariato diffuso per i lavoratori, sostegno reale ai lavoratori giovani che vogliono ‘mettere su’ famiglia tramite partnership con banche capaci di erogare mutui, aziende che si fanno ‘garanti’ di servizi sociali essenziali per le famiglie dei loro dipendenti (asili nido, scuole..): non solo partecipando alle istituzioni che erogano questi servizi attraverso propri contributi erogati ma creando le condizioni perché l’azienda sia un luogo accogliente per chi ha figli. Su questa linea chiarisce bene quanto ho appena detto sempre l’Ing. Olivetti: ‘La fabbrica di Ivrea, pur agendo in un mezzo economico ed accettandone le regole, ha rivolto i suoi fini e le sue maggiori preoccupazioni all’evoluzione materiale, culturale e sociale del luogo ove fu chiamata ad operare, avviando quella regione verso un tipo di comunità nuova ove non vi sia più differenza sostanziale di fini tra i protagonisti delle sue umane vicende, della storia che si fa giorno per giorno per garantire ai figli di quella terra un avvenire, una vita più degna di essere vissuta’.
Si comprende bene quindi che un’azienda intensamente preoccupata e tesa a all’evoluzione materiale, culturale e sociale del luogo dove sorge può creare benessere e sviluppo non solo ed esclusivamente per i propri soci, ma anche per tutto il tessuto sociale della comunità ad essa circostante. In questo senso molto corretta e valida risulta essere l’idea di una catena del Made in Italy, ovvero chiedere alle aziende che si riforniscano di materie prime e di forza lavoro nelle comunità adiacenti ad essa in modo da rendere il tentativo imprenditoriale una possibilità di bene comune reale per tutti e non solo per l’imprenditore. Solo rimettendo al centro il più volte citato ‘vincolo morale’ (cit. Franco Ferrarotti) di un’azienda potremo davvero ridare splendore alle nostre piccole comunità: la capacità di fare impresa, anche in settori delicati come la cultura, è qualcosa che non può non essere connesso con il destino di un popolo.
Un’attività economica, come ripeteva Olivetti, ha il dovere di scommettere ‘nell’uomo, nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto’. Questo credere nell’uomo porta poi l’azienda stessa a ridefinire sé stessa: ‘questo stabilimento riassume le attività e il fervore che animano la fabbrica di Ivrea. Abbiamo voluto ricordare nel suo rigore razionalista, nella sua organizzazione, nella ripetizione esatta dei suoi servizi culturali ed assistenziali, l’assoluta indissolubile unità che la lega ad esse e ad una tecnica che noi vogliamo al servizio dell’uomo, lungi dall’esserne schiavo, ne sia accompagnato verso mete più alte, mete che nessuno oserà prefissare perché sono destinate dalla Provvidenza di Dio’. Parole meravigliose che sono la risposta alla domanda di apertura della nostra riflessione: può l’industria darsi dei fini? Ebbene sì, se tutta la portata del desiderio dell’uomo diventa protagonista del processo produttivo.
Allora, è possibile ragionevolmente ascoltare un imprenditore come Adriano Olivetti, capace di dare lavoro a decine di migliaia di uomini e donne e di fare utili tra i più importanti in Europa, mettere insieme Dio e la fabbrica. Perché solo dando dignità alla tradizione di una comunità, al senso compiuto della propria storia, un’azienda può trovare sviluppo e futuro. Non sarà mai possibile immaginare una terra come la Romagna, ad esempio, disponibile allo sviluppo di energia ‘bio’ tramite lo sfruttamento agricolo con coltivazioni adatte alla produzione energetica. Questo proprio perché la terra romagnola ha visto secoli di lavoro e amore per l’agricoltura, la viticoltura e aziende capaci di tradurre questo amore per la natura in benessere e buoni ‘stili di vita’. Non è un caso che l’azienda leader nel wellness, Tecnogym, sia sorta in questa terra. Occorre avere il coraggio di porre le basi dell’economia del nuovo millennio su queste certezza, su questa visone: dare fiducia all’uomo e alla sua natura buona ha sempre dato buoni frutti. La storia insegna.
Mirko De Carli