Con l’eurotassa l’inizio della fine dell’Europa dei Padri fondatori
Il progetto dell’eurotassa nasce quando Barroso, allora presidente della Commissione Europea, Schulz in qualità di presidente del Parlamento Europeo e il primo ministro greco Samaras per conto del Consiglio Europeo decisero di affidare a Mario Monti, ex premier italiano oltre che commissario europeo, la responsabilità di presiedere un tavolo di lavoro con l’obiettivo di elaborare proposte per ‘le nuove entrate dell’Unione’. Il tutto da considerare all’interno della attività di programmazione del bilancio pluriennale 2014-2020. Quindi lo scopo di questa azione risultava quello di aumentare le fonti di sostentamento dell’Unione Europea, ad oggi derivanti esclusivamente dalle entrate doganali, dai contributi degli Stati aderenti e dalle quote dell’Iva spettanti. Tra i più fervidi oppositori del provvedimento si mobilitarono subito gli inglesi i quali evidenziarono la preoccupazione di poter perdere privilegi fiscali ottenuti negli anni nel campo delle transazioni finanziarie (tutti ben conosciamo quanto sia redditizia per l’economia anglosassone l’attività della City di Londra). L’obiettivo finale di questa task force guidata da Monti consiste probabilmente nella creazione di un ministero europeo autorizzato alla riscossione fiscale in forma autonoma rispetto ai MEF nazionali degli Stati membri dell’UE. Su questa strategia Monti trova pieno appoggio da parte del ministro delle finanze tedesco Schäuble, promotore indefesso della politica di austerity europea. La nascita quindi di un possibile ministero delle finanze europeo prevederebbe poi la possibilità per tale dicastero di utilizzare risorse che gli verrebbero destinate dagli Stati dell’Unione Europea derivante da due fonti erariali ben precise: IVA e imposte sui redditi. Questa via che si sta percorrendo però rischia di non offrire benefici agli Stati europei che si affacciano al mediterraneo (e non solo), mentre confermerebbe uno strapotere tedesco esercitato attraverso una struttura di governo superiore (non controllata democraticamente da nessun organo europeo) capace di condizionare tutti i governi nazionali più fragili finanziariamente. Un super ministero dunque che avrebbe un potere molto ampio in quanto libero di agire come autorità statuale dotata del monopolio dell’imposizione fiscale. Un monopolio che, unito a quello della BCE di gestione della moneta unica, porterebbe in dote all’UE made in Merkel un potere illimitato e senza controllo. Tutto questo conferma il continuo scavalcamento del ruolo del Parlamento Europeo, istituzione che ad oggi non ha alcun potere veramente decisivo rispetto alla attuazione legislativa europea. Questa marginalità del parlamento europeo rischia quindi di ridurre sempre di più la possibilità dei popoli di far sentire la propria opinione sulle politiche europee attraverso il processo principe degli Stati occidentali: la democrazia rappresentativa. Si rischia quindi uno scontro permanente tra potere autoreferenziale dove da un lato la Germania vuole un’europa svincolata Usa e governata secondo le logiche del Marco forte, dall’altro una BCE a guida Draghi che, attraverso il trattato transatlantico Europa-USA, vuole rafforzare l’asse con l’America attraverso una visione federale dell’UE. In mezzo, come sempre, i popoli europei che vantano la sovranità sulle loro Carte Costituzionali ma si trovano sempre più strattonati da un’europa che di democratica continua ad avere ben poco.
Mirko De Carli